Salterio di Ingeborg, Ms. 9 olim 1695, c. 1205, Museo Condé, Parigi

Lo stolto pensa: “Dio non c’è”(1).
            Cedendo alla tentazione di citare noi stessi, riportiamo alcune recenti righe relative al dominio della conoscenza: Noi siamo del parere, – scrivevamo -, che la dimensione del credere sia una caratteristica dello spirito umano e sia una fonte di conoscenza certa, quando e solo quando siano garantite e l’originaria conoscenza de visu e la veridicità del teste, la quale accompagna e integra la conoscenza esperienziale, costituendo una diversa, ma autentica branca del vasto campo della scienza. Vogliamo ora seguitare, cercando di stabilire se l’esistenza di Dio sia di fede, in quanto rivelata da un teste qualificato, o sia acquisizione possibile sul piano meramente razionale.

            Nella Bibbia ci sono due chiare affermazioni che stabiliscono la possibilità di raggiungere indirettamente la consapevolezza dell’esistenza di Dio. Nel libro della Sapienza si enuncia un percorso analogico:
                        “Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature
                        per analogia (ἀναλόγως) si contempla il loro autore (Dio).(2)

e S. Paolo ai Romani si rifà al principio di causalità, dall’effetto alla causa:
            “… poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute.(3)”;
dunque, a rigore, non si è nel dominio della fede.

            Alcuni documenti della Chiesa riprendono e ripropongono la capacità di giungere razionalmente all’esistenza di Dio:
            “Le raisonnement peut prouver avec certitude l’existence de Dieu et l’infinit de ses perfections…. Quelque faible et obscure que soit devenue la raison par le peché originel, il lui reste assez de clarté et de force pour nous guider avec certitude à l’existence de Dieu,…(4)”.
            “… Deum, rerum omnium principium et finem, naturali humanæ rationis lumine e rebus creatis certo cognosci posse;…(5)”.
            “Ac primum quidem: Deum, rerum omnium principium et finem, naturali rationis lumine per ea quæ facta sunt [Rm 1,20], hoc est, per visibilia creationis opera, tamquam causam per effectus, certo cognosci, adeoque demonstrari etiam posse, profiteor.(6)”.

            “Licet humana ratio, simpliciter loquendo, veram et certam cognitionem unius Dei personalis, mundum providentia sua tuentis ac gubernantis, necnon naturalis legis a Creatore nostris animis inditæ, suis naturalibus viribus ac lumine assequi revera possit, nihilominus non pauca obstant, quominus eadem ratio hac sua nativa facultate efficaciter fructuoseque utatur.(7)”.

            “Confitetur Sacra Synodus, Deum, rerum omnium principium et finem, naturali humanæ rationis lumine e rebus creatis certo cognosci posse [cfr. Rm 1,20]; ejus vero revelationi tribuendum esse docet, ut ea, quæ in rebus divinis humanæ rationi per se impervia non sunt, in præsenti quoque generis humani conditione ab omnibus expedite, firma certitudine et nullo admixto errore cognosci possint.(8)”.

            “L’uomo ha facoltà che lo rendono capace di conoscere l’esistenza di un Dio personale.(9)”.

            La possibilità in senso assoluto è dichiarata e ribadita, anche se “non pochi sono gli ostacoli che impediscono alla nostra ragione di servirsi con efficacia e con frutto di questo suo naturale potere”. Stabilita comunque l’esistenza di Dio, a lui si addicono attributi specifici, come l’onnipotenza e la prescienza, che comprende in sé la predestinazione. A questo proposito ci sono state interpretazioni diverse: basti pensare a Sant’Agostino, Pelagio, Lutero, senza dire di altri; noi prossimamente ci occuperemo solo della visione dantesca e della posizione cattolica attuale.

Note
(1) Dixit insipiens in corde suo: “Non est Deus”. (Sal 14,1.53,2)
(2) Sap 13,5
(3) Rm 1,19-20
(4) Cfr. Theses a Ludovico Eugenio Bautain jussu sui episcopi subscriptæ, 8 Sept. 1840, 1a.6a: “Il ragionamento può provare con certezza l’esistenza di Dio e l’infinità delle sue perfezioni…. Per quanto debole e oscura sia diventata la ragione a motivo del peccato originale, le resta abbastanza chiarezza e forza per guidarci con certezza all’esistenza di Dio,…”.
(5) Cfr. CONC. VATICANUM I, Constitutio dogmatica Dei Filius, 24 Apr. 1870, Cap. 2, incipit: “… Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create;…”.
(6) Cfr. Motu proprio Sacrorum antistitum, 1 Sept. 1910: “Primo: confesso che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con il lume naturale della ragione per mezzo delle cose che sono state fatte [Rm 1,20], cioè per mezzo delle opere visibili della creazione, come causa per mezzo degli effetti”.
(7) Cfr. Encycl. Humani generis, 12 Aug. 1950: “Benché la ragione umana, assolutamente parlando, con le sue forze e con la sua luce naturale possa effettivamente arrivare alla conoscenza, vera e certa, di Dio unico e personale, che con la sua Provvidenza sostiene e governa il mondo, e anche alla conoscenza della legge naturale impressa dal Creatore nelle nostre anime, tuttavia non pochi sono gli ostacoli che impediscono alla nostra ragione di servirsi con efficacia e con frutto di questo suo naturale potere”.
(8) Cfr. CONC. VATICANUM II, Constitutio dogmatica Dei verbum, 18 Nov. 1965, Cap. I, 6b: “Il sacro sinodo professa che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza dalle cose create con il lume naturale della ragione umana [cfr. Rm 1,20]; insegna però che alla divina rivelazione va attribuito il fatto che tutto ciò che nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla ragione umana, possa essere conosciuto da tutti, speditamente, con indiscutibile certezza e senza mescolanza d’errore anche nella presente situazione del genere umano”.
(9) Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 35.

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