Testimonianza di Alessandro

“La felice audacia di rispondere con prontezza alla Sua chiamata…” (papa Francesco)

Carissimi, con gioia colgo l’occasione per presentarmi a voi lettori e condividere brevemente la mia esperienza vocazionale francescana.

Mi chiamo Alessandro, ho trent’anni e sono nato a Schio, una cittadina veneta in provincia di Vicenza. Da un anno vivo nel convento di Montughi, dove ho svolto il primo periodo di accoglienza e conoscenza presso i Cappuccini della Toscana, proseguendo poi, con il Postulandato. Quest’ultimo è la seconda grande tappa nel cammino vocazionale di ogni giovane che è mosso dal desiderio di diventare frate francescano. Dopo il discernimento, e un periodo di accoglienza iniziale, con il Postulandato si entra più ufficialmente ad essere parte del convento e, pur essendo ancora laico (cioè non ancora frate), si sperimenta concretamente la vita quotidiana dei frati, negli ambiti quotidiani di preghiera, vita di fraternità, spirito di servizio, in uno stile di vita sobrio e semplice. Il Postulandato è una preparazione verso la tappa successiva, che sarà il Noviziato alla fine del quale si professano i primi voti di obbedienza, castità e povertà.

Postulante è una parola che deriva dal verbo latino postulare che significa chiedere, fare una richiesta. Sorge quindi spontanea una curiosità: Di che richiesta si tratta? E soprattutto a chi?

Sulla base della mia esperienza, ma penso anche di tutti i miei confratelli, coetanei, che in questo momento stanno svolgendo il primo cammino di Postulandato in Sardegna, posso dire che il Postulandato cerca di far luce, rispettivamente su tre importanti domande rivolte: a Dio Padre, a noi stessi, ai frati che ci accompagnano e che ci aiutano in questo percorso. La prima domanda a cui nel quotidiano delle giornate in Postulandato si fa luce, nella preghiera personale e comunitaria, è rivolta a Dio: “Davvero Signore mi stai chiamando a seguirti alla sequela di San Francesco di Assisi?”. Il secondo quesito invece, interpella prima di tutto me stesso, convocando pure la mia libertà personale, anch’essa meraviglioso dono di Dio, ed è: “Come voglio rispondere io a questo appello che Dio mi rivolge?”. La terza domanda, è quella rivolta ai frati che in questo momento mi seguono, come fratelli e con grande sentimento paterno, guidandomi e trasmettendomi con i loro insegnamenti, ma ancora più con la loro vita, ciò che a loro volta hanno appreso, meditato, pregato e vissuto, in modo da introdurmi in quel vasto e meraviglioso mondo che è la spiritualità francescana. A loro ho chiesto di aiutarmi nel discernimento per la vita religiosa, di proseguire poi con il Postulandato, e a loro un giorno chiederò, a Dio piacendo, di poter essere ammesso al Noviziato dell’Ordine dei frati minori Cappuccini.

Nonostante l’anno 2020 sia stato molto povero per quanto riguarda i rapporti e le relazioni, molte persone, e soprattutto giovani, dopo aver saputo che iniziavo il cammino di discernimento, mi hanno chiesto una spiegazione su cosa fosse la “vocazione” e sul significato della frase “fare discernimento vocazionale”. Rispondere a questa domanda non è semplice, soprattutto per il fatto che interpella in prima persona il proprio vissuto spirituale, in un articolato percorso di discernimento guidato dal mistero di Dio. Il termine “vocazione”, dal latino vocatio che significa chiamata, purtroppo, sembra sia usato solo per la chiamata al sacerdozio, o alla consacrazione religiosa, ma non è così. Ognuno di noi in questa vita ha una propria particolare vocazione, cioè ha una particolare chiamata da parte di Dio che interpella tutto di noi stessi, e alla quale dobbiamo rispondere nel modo più onesto possibile. Il rispondere a tale chiamata è importante, oltre che per un dovere personale, anche per il fatto che nel rispondere a questa chiamata, si gioca tutta la nostra gioia in questa vita, e anche nell’altra. Il tutto di noi, in una prospettiva cristiana di riconoscersi figli di Dio, dev’essere orientato a quello che sarà definitivo: la vita eterna. Per questo ogni vocazione, scoperta e conseguita, ha la stessa dignità e la stessa importanza davanti a Dio e a ogni uomo, superando il luogo comune che certe vocazioni siano più meritevoli di altre. Ciò a cui Dio chiama, fa sempre parte di un disegno di vita meraviglioso che si scopre pian piano. Mi ha sempre toccato questo brano di San Paolo: “Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione” (Ef 4). Ogni vocazione è una risposta all’Amore immenso di Dio, che ci chiama nella libertà a perseguire un determinato cammino, e ad essere realizzati come uomini e come suoi figli amati e salvati. Possiamo paragonare la chiamata di Dio ad un seme, che il Signore ha messo nel nostro cuore e che, poco per volta, cresce, germoglia e fiorisce, fino a dare -se riconosciuto e coltivato con cura e con amore- il suo frutto di santità. Sempre san Paolo ci conferma questo quando in uno dei suoi scritti afferma: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà” (Ef 1, 3-5). Certo, il tutto comunque inizia dal riconoscersi sue creature e figli di un Padre che ha dato tutto per noi.

Discernere invece, deriva dal latino “cernere” che significa, separare, distinguere, più semplicemente vedere chiaro, sia con la vista degli occhi che con l’intelletto. Discernimento vocazionale quindi, alla luce di queste premesse, è facile intenderlo come l’attuare un cammino, sotto la guida di un padre spirituale e di un maestro, per cercare di comprendere a cosa il Signore ti stia chiamando a vivere. Quale e dove sia il tuo posto in questa esistenza terrena, distinguendolo, vedendolo chiaro, in mezzo alla frenesia del tempo che alle volte non ci permette nemmeno di ascoltare quella voce di Dio che parla al cuore di ognuno di noi. Non è certo cosa da poco, ci vuole costanza, preghiera profonda, continua, e molta pazienza. Il Signore sempre chiama, è una realtà che si constata; anche coloro che non sono chiamati ad una vita di consacrazione speciale, come può essere la vita religiosa, ma alla famiglia o ad altre missioni, ma tutti ricevono una chiamata, d’amore, alla quale bisogna rispondere.   

Fin da piccolo sono cresciuto in una parrocchia retta dai frati minori Cappuccini, e il desiderio un giorno, di poter essere frate come loro, per vivere quella gioia, che vedevo esprimersi dai loro cuori e dal vigore delle loro vite semplici ma profonde, tutte in Dio, mi ha accompagnato lungo gli anni della mia crescita e dei miei studi. Desideravo rispondere a quella voce interiore che mi faceva sentire di essere cercato, desiderato, amato profondamente. Con il passare degli anni, avendo acquisito più maturità, capivo che ciò che cercavo fuori di me, era come fosse assordante, bello sì, ma dopo poco spariva, senza alcuna soluzione, facendomi persistere nel cuore una voce che mi chiamava a sé, ma che ancora non riuscivo a distinguere. Per spiegare questo, tengo a cuore delle righe che lessi, ai tempi delle scuole superiori, dal diario di Albino Luciani, poi divenuto Papa Luciani, il papa del sorriso. Quest’ultimo era solo un giovane seminarista quando nel suo diario personale, relativamente alla chiamata della sua vocazione scriveva:” Quando ci si chiama fra noi uomini, la chiamata è chiarissima. Quando chiama Dio, la cosa è diversa; niente di scritto o di forte o di evidentissimo: appena un sussurro lieve, un sottovoce, un ‘pianissimo’ che sfiora l’anima”. È proprio così, lo è stato anche per me, ed è per questo che il discernimento necessita sempre di tempo, di pazienza, abbandonando ogni fretta. A volte può tale chiamata vocazionale può essere coperta o soffocata da dinamiche emotive e meccanismi psicologici da ordinare, purificare. Poi, durante le scuole medie e all’inizio delle scuole superiori, attraverso dei bei percorsi di discernimento, vi è stata la svolta decisiva: il riconoscere in me la presenza di un Tu dimorante, sempre più coinvolgente e innamorato della mia vita, della mia persona. Un’esperienza di bellezza che mi ha condotto lentamente ad una scelta di vita: fare spazio alla presenza amante del Signore Gesù in quel piccolo vaso che sono, tra le mani del suo grande vasaio. Dopo aver compreso come il Signore mi stesse chiamando alla vita consacrata, con degli amici ho conosciuto successivamente l’Eremo di Montecasale e il convento de “Le Celle” di Cortona, e fu proprio in questi luoghi, che ho scelto definitivamente di iniziare il mio percorso vocazionale. Chiunque frequenti gli eremi appena citati, non può non venirne inebriato dall’atmosfera, satura di francescanesimo, e straripante dell’animo del Poverello di Assisi, e da esso venire aiutato, sul valore dell’essere e del vivere da frati minori. Fatti alcuni colloqui con i frati responsabili dell’accoglienza, seguiti da molta preghiera, sono stato accolto fra gli aspiranti Cappuccini della Toscana, condividendo il quotidiano della vita di convento.

I valori che nella vita francescana mi hanno da sempre attratto sono la fraternità e la minorità vissuti nella concretezza della vita quotidiana. Tali valori li trovo di una profondità evangelica che non ha paragoni. In convento si vive tutti da fratelli tra fratelli, senza disuguaglianze o gerarchie atte a generare distanze. Anche questo non è sicuramente facile, è un cammino e non lo si improvvisa, né lo si compie solo con le proprie forze, ma sempre nel Signore, facendo scorrere tra di noi la forza dinamica del suo Santo Spirito. Così ad esempio, puoi trovare il padre provinciale che lava i piatti per la fraternità, o il guardiano che quotidianamente assiste con amore i frati anziani in infermeria ed è sempre al lavoro per il bene della fraternità, o uno dei frati più anziani che dopo una piccola “rimbeccata” con un confratello, lo stia cercando per chiedergli sinceramente scusa e di perdonarlo, ritornando nella pace dei rapporti che il Signore ci chiede di intessere fra noi. La fraternità francescana è un grande segno anche per il mondo attuale e le sue relazioni. Uno sguardo anche solo un poco attento ci farebbe scorgere una realtà drammatica: quanto più le distanze a livello mondiale si accorciano e i tempi si abbreviano, tanto più si scava un abisso di solitudini insondabili. Se è facile venire a conoscenza di ciò che accade al polo opposto del globo terrestre, diventa paradossalmente sempre più difficile instaurare un vero dialogo fraterno con il vicino di casa, o tra i membri di una famiglia. Nella fraternità si gioca proprio tutto questo, assieme ai frati la si vive come un processo di conversione, umanamente parlando impossibile, ma che diviene realizzabile in forza della grazia scaturita da Cristo, venuto sulla terra proprio per restaurare il legame di fraternità spezzato da Caino. All’indifferenza di Caino, uccisore del fratello, Cristo a contrapposto il più responsabile coinvolgimento, e così anche noi uniti a Lui possiamo dire:” Sì, io sono il custode di mio fratello” e in lui cerco di vedere il volto di Dio che è per me motivo dono. Fin dal primo momento in cui sono entrato in convento questa atmosfera, a dir poco familiare, mi ha colpito e incoraggiato a farla mia e a condividerla. San Francesco nel suo testamento scrive: “Il Signore mi donò dei fratelli”, e infatti la vita di fraternità più la si vive e più si comprende come sia un dono che il Signore dà a tutti coloro, che, pur non essendosi scelti, vivono insieme uniti nell’intento di seguire e amare Lui. Uniti in convento, si cerca di prestar fede alle parole del Maestro che dice: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16) e a rimanere nel mio amore.

Assieme alla fraternità, un altro aspetto che mi ha molto attratto, come scrivevo, è la minorità. Mentre la fratellanza era un valore che, pur con la fatica che esige, essendo cresciuto in una parrocchia cappuccina, nel mio vivere familiare e sociale avevo in parte vissuto, la minorità posso proprio dire di averla scoperta e iniziato a comprenderla in convento. È un atteggiamento e valore tipicamente francescano. Ciò che come atteggiamento è emarginato nel mondo, rifiutato perché considerato perdente, inutile, san Francesco lo pone come valore per i suoi frati: che siano minori a tutti. Minorità in primo luogo è riconoscersi figlio di Dio, è mettersi sempre al servizio del fratello e non al di sopra, considerarsi sempre bisognosi e mai utili, non sentirsi mai arrivati ma sempre in pellegrinaggio, minorità è umiltà, nascondimento, è povertà, minorità è semplicità. La minorità ai livelli più alti a cui si possa arrivare è dimenticare se’ stessi per aderire totalmente a Lui e donarsi a tutti ai fratelli. Il fascino che la minorità suscita, sui frati che vedo la mettono in pratica, è così grande che essa non può essere indifferente nel mio discernimento quotidiano, provocando sempre nuovi stimoli di conversione. Molte volte, sulla base di questo atteggiamento di minorità, mi interrogo chiedendomi spesso:” Quello che penso, ciò che voglio e che desidero, quanto sto per fare è veramente secondo la volontà di Dio o è solo per me? Mi sto distaccando da me stesso per aderire a Lui, alla sua volontà e al suo amore? Mi sto orientando totalmente a Lui? O ancora ho delle riserve?” 

Mi sento di concludere questa testimonianza, soffermandomi ancora una volta su Cristo e sul suo amore che chiama. Il convento con le sue molteplici dinamiche e valori, l’abito francescano, i luoghi di san Francesco, possono avere tutto il loro fascino attraente, ma chiedo continuamente al Signore che a muovermi e ad attrarmi sia sempre il sentirmi amato da Lui, sentirmi Suo, in Cristo con il bisogno di condividere questo amore in una donazione fraterna e pastorale. In tutto questo non posso negarvi come da sempre mi aiuti, con il suo esempio e la sua protezione la Vergine Maria, alla quale intercessione devo molto del mio cammino e della mia conversione. Quanto amore aveva S. Francesco per la Madonna e quanti elementi ci sono in convento che portano a sentirla sempre presente in mezzo a noi: dalle immagini dei nostri corridoi e refettori, illuminati giorno e notte, alle corone appese ai cingoli dei frati, pronte ad essere pregate, alle preghiere che a Maria eleviamo durante il giorno nei nostri incontri di preghiera.

Mi affido a te Maria, avvocata di grazie e aiuto dei cristiani, che meglio di nessun’altro sai cosa vuol dire attendere e amare Cristo. Guardo al tuo esempio Maria, affinché in questo anno di Postulandato e nella mia vita, io possa essere sempre più in ascolto del tuo Figlio e da Lui illuminato, guidato, verso il compiersi di quel «sì» fiducioso e pieno di amore, che tu prima di me hai pronunciato rispondendo con prontezza alla Sua chiamata. Seguo te Maria, che nella tua totale disponibilità ami e ti doni a tutti, e così con la tua mano nella mia continuare ad operare la mia conversione a colui che tutto rinverdisce e tutto rinnova, e tutto fa vivere per sempre: tuo figlio.   

Alessandro

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