UN PO’ DI STORIA DELL’ARCISPEDALE DI SANTA MARIA NUOVA DI FIRENZE

Giglio “guelfo”(1) di Firenze

“Dio ve ne renda merito(2)

            In modi diversi, ad ogni età, quando capita, ci si trova sempre e soltanto di fronte a persone ammalate che obbligano allo studio della malattia in tutta la vastità della sua incidenza. Questo, con sensibilità storicamente inscritte nel patrimonio culturale del proprio tempo, fu anche il criterio adottato a S. Maria Nuova fin dalla sua fondazione, come poi il Meyer lo ha continuato, ravvivato, approfondito e integrato, partendo dal patrimonio più prezioso che sono i bambini: l’oggi aperto al domani, per un domani che sia più sereno e migliore.

            Accanto ad eccellenti clinici sarebbero auspicabili presenze di validi assistenti, “esperti in umanità(3)”, consapevoli che assai spesso è necessario saper dialogare con una certa cordiale immediatezza con pazienti di brevissima degenza, come, altre volte, bisogna instaurare un amichevole e continuativo rapporto con pazienti di più lunga degenza – cui, purtroppo, spesso corrisponde una certa più severa condizione di malattia – e, in ogni caso, deve potersi avere una convinta e costruttiva collaborazione con le varie componenti di una struttura sanitaria, ciò che sarebbe utile ai fruitori dei servizi e segno, negli operatori, di vera maturità intellettuale, aperta alla pluralità delle fonti della conoscenza, della solidarietà, della filantropia e della carità.

            Terminiamo questa digressione, forse ovvia nei contenuti, ma non vacua, dicendo che per vari motivi, non sempre e non tutti condivisibili e talvolta ancor meno plausibili, i Cappuccini lasciarono il loro ininterrotto servizio a S. Maria Nuova il sabato 2 ottobre 2010 (ancora 9 giorni e sarebbero stati 328 anni tondi). Dato poi che ne abbiamo fatto più che un cenno, aggiungiamo che da quello presso il Meyer – servizio che, dopo temporanea sospensione, era ripreso con nuovo affidamento ai Cappuccini in occasione del trasferimento di sede, avvenuto la notte del 14 dicembre 2007 – furono, come si deve dire, sollevati con lo spirare del lunedì 31 marzo 2014.

            Se il più è ormai storia e, augurabilmente, monito e incitamento per l’avvenire, l’ospedale di Santa Maria Nuova, la massima istituzione ospitaliera fiorentina, rimasta per secoli al centro dell’attività assistenziale cittadina, è ancora oggi operante in Firenze e fra le maggiori fondazioni di questo tipo.

            Un caso recente, capitato all’estensore di queste righe e noto solo a pochi suoi intimi familiari, a testimonianza dell’attuale competenza e prontezza di intervento a S. Maria Nuova, è successo nella tarda serata del giovedì 27 aprile 2017: il ricovero d’urgenza di un parente stretto, protrattosi alcuni giorni fino allo scioglimento della prognosi, susseguente ad un tempestivo intervento chirurgico per aneurisma splenico, e, quindi, alla definitiva dimissione. Andando assiduamente a visitare appunto il congiunto ricoverato, è accaduto che qualcuno chiedesse una benedizione e qualcun altro volesse confessarsi: così un vecchio cappuccino come me, – fuori servizio in ragion dell’età, ma allora non ancora completamente a riposo, – ha potuto doppiamente commuoversi: per la personale situazione affettiva presente, messa fortemente alla prova; e per i ricordi di un passato, nemmeno tanto lontano, fatto di preghiera e di premurosa vicinanza, ritornato vivo per un momento: non perché fosse morto, chiaramente, espresso però nelle forme e nei modi di un tempo,… Patrimonio che deve comunque continuare a sussistere, come sia e dove sarà.

            Se il manoscritto del Bernardi, di cui ci siamo occupati e che ha dato spunto ad altri accenni e considerazioni, verrà pubblicato, buona lettura; altrimenti, chi si fosse imbattuto in queste chiacchiere saprà che esiste un certo manoscritto e un po’ anche come la pensiamo. Pace e bene.

Firenze, dal Convento di Montughi, li 24 giugno 2021, Festa del Patrono S. Giovanni Battista.
Fra’ Guglielmo M. da Firenze, cappuccino, già Cappellano ospedaliero

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Note

(1) I colori erano originariamente invertiti: giglio bianco in campo rosso; ciò durò fino alla vittoria guelfa del 9 febbraio 1252, con la riconquista del Castello di Montaio. In quello stesso anno fu coniato il Fiorino d’oro del peso di 3,537 grammi e in oro a 24 carati.
(2) Era il ringraziamento di Sant’Antonino. Si narra che una volta un contadino avesse portato all’Arcivescovo un sacchetto di fagioli e che, a sentir quelle parole, avesse borbottato che era un modo di pagare troppo a buon mercato. Il Pierozzi allora le scrisse su un foglietto e le pose su un piatto della bilancia: quelle pesavano più del sacchetto di fagioli.
   Divennero, in seguito, il modo abituale di ringraziare la persona soccorsa, usato dai Fratelli della Misericordia, proprio per aver avuto l’occasione di fare un’opera buona.
   Ricordiamo che la “Misericordia” era nata nella “Pia Città di Fiorenza” (per seguitare a usare l’espressione di stima cara al Bernardi) verso il 1244, per impulso di S. Pietro Martire (da Verona).
            (Il cardinale)… presentò (ad Agnese) il rotolo (con cento scudi d’oro), ch’essa prese, senza far gran complimenti. «Dio gliene renda merito, a quel signore,» disse:…
(A. Manzoni, I Promessi Sposi, XXVI, 24).
(3) Cfr. S. Paolo VI, Discorso all’ONU, 4 ottobre 1965.

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